Friday, 15 July 2016

"Before" trilogy


In questi giorni di vacanza, e cioè in questo periodo di limbo dorato in cui la famiglia è in vacanza e io sono sola al caldo a lavorare, mi ero ripromessa di non abbrutirmi troppo, tipo guardando 9 stagioni di un telefilm in due settimane al ritmo di 20 episodi al giorno, mangiando pollo fritto e bevendo birra a letto, come ho fatto l'anno scorso. In effetti mi sto comportando abbastanza bene, mi sto alzando a ore degne nel weekend, sto andando a yoga e ho perfino deciso di interrompere la visione (e ri-visione) dei soliti blockbuster (forse perché li ho visti tutti...) e di darmi al cinema vero.
Mi sono così imbarcata nella visione della trilogia "Before sunrise/sunset/midnight" di Linklater, di cui avevo già visto - e adorato - "Boyhood" e "School of rock" e che non poteva non piacermi. Ho anche imparato una parola nuova: film indie, che non sta per indiano/frikkettone, come ho creduto fino a ora che ho cercato su wikipedia, ma indipendente a basso budget. Devo dire che dopo l'overdose di CGI e botte degli ultimi mesi, stare a sentire due che chiacchierano di amore, vita, filosofia e morte per 6 ore è stata una boccata di aria fresca.
La storia tutti la sanno: in Sunrise, Jesse (Ethan Hawke) e Celine (Julie Delpy) si incontrano per caso su un treno, decidono di scendere a Vienna e camminano tutta la notte chiacchierando, ridendo da bar a bar e, prevedibilmente, ma non meno piacevolmente, trovando una connessione profonda e innamorandosi per salutarsi con l'impegno di rivedersi stesso posto/stessa ora sei mesi dopo. Si lascia intendere che questo non ha da succedere e che quella notte magica è una di quelle esperienze che in molti possono annoverare nei proprio vent'anni, quando era "tutto ancora intero", "si poteva avere tutto per possibilità". Allora si passava le notti a camminare per capitali europee, aprendo il cuore a interlocutori occasionali (leggi anche fidanzato del momento) e si pensava che noi no, non saremmo mai stati schiacciati nelle maglie delle convenzioni sociali borghesi, come ad esempio il matrimonio. Io ho camminato a Parigi, ad esempio, per nottate intere, in attesa della prima metro che ci avrebbe riportato al campus, da bar a bar, club a club, fra una crepes e un kebab, parlando della vita con due persone che poi non ho mai più rincontrato sulla mia strada, ma che hanno animato uno dei periodi più felici della mia vita.
9 anni dopo, in Sunset, mentre Jessie promuove il libro che ha scritto su quella notte in una libreria di nicchia a Parigi, Celine si presenta sull'uscio. Dopo lo sconcerto iniziale - magistralmente recitato - decidono di passare il pomeriggio insieme, chiacchierando dei loro ultimi 9 anni di vita. L'imbarazzo lascia spazio alla leggerezza, la leggerezza alla riconnessione, la riconnessione ai sentimenti e Jesse decide di buttare all'aria la sua vita pur di rivivere quella notte di 9 anni prima. A questo punto hanno una trentina d'anni e sono nel pieno del disincanto: no Dio, no Patria, no Amore; ma nonostante tutto questo cinismo, specie da parte di lei, alla fine si rimettono in gioco. Se fosse stato un film meno intelligente, sarebbe scivolato in un inguardabile mieloso scontato finale. Invece, celato dietro all'immancabile lieto fine, si intravede la pila di merda galattica che, prevedibilmente, sommergerà Jesse nell'instante in cui si ri-avrà dalla notte/i che segue quel  "baby, you're gonna miss that plane" "I know".
Dopo altri 9 anni, in Midnight, ecco che si vedono i residui di quella gigantica montagna di merda - divorzio e figlio oltreoceano per dirne due -, ma Jesse e Celine, nonostante la furiosa litigata in hotel, sono sempre li, capaci di avere una lunga conversazione, o "bullshitting around", per dirla con le parole di Ethan Hawke e tutto sommato passandosela meglio di molti.
Quest'ultimo è l'unico film che ho visto al momento giusto e non con 20 o 10 anni di ritardo ed è forse quello che mi è piaciuto meno: forse, invecchiando, Celine suona un pelo troppo nevrotica e Jesse un attimo troppo patronising. O forse invecchio io e essere messi davanti agli anni che sono passati non è sempre piacevole. Da un punto di vista cinematografico, inoltre, per la prima volta alcune scene, tipo la cena con gente che parla con l'accento del nostro istruttore di yoga, non hanno funzionato: troppo artefatte, in netto contrasto con la consueta spontaneità di tutte quelle viste finora.
Su un piano personale, come ogni 40-something-enne che si rispetti, sposata, seppur per caso, con figli, lavoro a tempo pieno e la vita come tutti la conosciamo, mi sono rivista in circa il 90% delle dinamiche (spero solo di non suonare così "mayor of crazytown" quando mi attacco a tutti i peli del culo per litigare). Ho ancora da decidere se mi ha messo tristezza per come un grande amore possa scivolare nella melassa della routine, incomprensione e disconnessione, o buon umore perché, nonostante tutto, alla fine fra 9 anni ce li ritroveremo di nuovo li, Jessie e Celine, un po' più vecchi e pieni di idiosincrasie, in un altro film, a fare magari i conti con l'emptiness  dei figli che sono andati al college. Perché alla fine, diciamocelo, passato lo shock da passata "passione che strappa i capelli", invecchiare insieme al compagno di sempre ha un suo perché.

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