Thursday 20 April 2017

Girls


La storia di quattro amiche e le loro vite in New York City. Suona familiare? Lo è.
Centinaia di parole sono state spese sulle similitudini e differenze fra Sex and The City e Girls, lo show scritto, diretto e interpretato da Lena Durham che è finito domenica sera.
Similitudini: quattro amiche e le loro avventure nella grande mela.
Differenze: tutto il resto.
Girls non è un'inno all'amicizia che vince su tutto, non è un inno a New York - infatti è ambientato a Brooklyn -, non è un inno all'amore che trionfa - almeno non nel senso tradizionale -, non c'è il principe azzurro - a onor del vero il principe c'ha provato, ma ha perso il mantello nell'arco di una puntata di 20 minuti -, non ci sono le battute divertenti - o meglio ci sono ma non fanno tanto ridere-.
SATC era una commedia arguta basata sulla vita di quattro trettenni del ceto medio-alto che se la godono a Manhattan fra alterne vicende, moda e amori. C'era Manhattan e c'era il sesso, parecchio, sopratutto tramite Samantha, sempre in chiave o romantica o divertente. Ci sono state lacrime, ma ci sono sempre stati l'eureka, la resa dei conti e il lieto fine.
In Girls, quattro ragazze fresche di college si ritrovano a intrecciare le proprie esistenze per decidere, dopo sei anni, che alla fine non sono poi così amiche e che anzi, fondamentalmente, stanno meglio senza frequentarsi. Girls parla della generazione dei Millennial, cresciuta con l'idea di essere speciale e di meritarsi successo. "Entaitlement" e' la parola corretta in inglese, avere il diritto di ottentere qualcosa.
"I am the voice of my generation, or at least a voice or a generation".
Girls parla di come quell'idea viene distrutta una volta che, dopo il college, si passa a doversela cavare da soli e si scopre, non senza stupore, che nessuno ti deve niente e che anzi la via del successo, inteso nel senso di realizzazione personale, è lunga e faticosa.
Non è la mia generazione, io sono una Gen-X e, come viene detto in uno dei migliori scambi dello show, noi, quando ci dicevano che eravamo speciali, avevamo almeno l'intelligenza di capire che o ci stavano prendendo per il culo o ci ritenevano deficienti.
Non è la mia generazione per cui non posso valutare su un piano personale come è stata trasposta sul piccolo schermo, ma il quadro che ne esce è cupo: disillusione, depressione, sesso - tanto - per tutti i motivi possibili  - amore, attrazione, autoaffermazione, noia, divertimento. Le scene di sesso mettono per lo più a disagio, così come molte conversazioni e situazioni, ma lo spaccato di vita è così realistico che lo show si guarda bene e volentieri. Il finale è esattamente quello che doveva essere, solo un momento nel continuum, senza catarsi, chiusura, conclusione alcuna. C'è solo una nota positiva, sui titoli di coda, che segna per Hannah, protagonista indiscussa nel suo abissale egocentrismo, l'inizio - alla buon ora (n.d.r.) - della vita adulta.
Il massimo del lieto fine che ci si poteva aspettare da questo show e dalla vita in genere.


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